Ai droni! Ai caccia! Alle bombe!

Un generale e un giornalista. Cosa hanno in comune? L’analisi politica e strategica sulla preannunciata operazione di bombardamento delle zone libiche in mano agli uomini del califfato nero di...

Un generale e un giornalista. Cosa hanno in comune? L’analisi politica e strategica sulla preannunciata operazione di bombardamento delle zone libiche in mano agli uomini del califfato nero di Al Baghdadi: entrambi concordano sul fatto che le operazioni aeree non sono sufficienti per cancellare dalla Libia la minaccia di Daesh, la sua presenza e il suo radicamento.
Il timore di entrambi è che i bombardamenti, alla fine, risultino soltanto essere una misura di effetto propagandistico americano, magari per aiutare Hillary Clinton a raggiungere la Casa Bianca. Un regalo di Barack Obama alla sua probabile succeditrice e un modo per lanciare alla Russia un avvertimento: gli Stati Uniti non sono disposti a cedere la bandiera di “difensori della democrazia” e di nemici, quindi, del califfo di Raqqa.
Per cui, generale e giornalista concordano ancora. La domanda dell’intervistatore al graduato è netta: “Che fare con gli uomini dell’Isis a Sirte?”. La risposta è altrettanto netta: “Annientarli”.
La morte diventa l’unica soluzione, la guerra l’unico mezzo per riportare le aree africane e mediorientali ad una presunta pace e ad una altrettanto presumibile, ma improbabile, convivenza fra interpretazioni politiche e religiose dell’Islam in un incrocio di interessi tra stati arabi e stati occidentali che, per essere compreso a fondo, necessiterebbe di tomi e tomi di analisi complesse e poco comprensibili per noi mediocri osservatori al di qua del Mediterraneo.
Ciò che importa è l’utilizzo dello strumento totalizzante della guerra, in tutte le sue sfaccettature, come protesi politica ancora una volta, come elemento dirimente e necessario per mettere fine ad un problema enorme come quello della teocrazia terrorista del Daesh.
Proprio di oggi è l’annuncio fatto dal ministro Pinotti: l’Italia concederà agli Stati Uniti d’America l’utilizzo delle basi Nato presenti sul proprio territorio. Sigonella diventerà, dunque, la principale base di partenza dei droni e dei caccia che andranno a far scivolare giù le loro bombe in territorio libico.
E’ un decisionismo che piace a generali e anche a molti giornalisti: l’atteggiamento sino ad ora usato dal governo, del “forse”, di un temporeggiamento non procrastinabile per Washington, è finito molto presto e ha sancito ancora una volta il legame stabile tra dominatore e dominata. Usa e Italia come ai vecchi bei tempi delle guerre del Golfo.
Non è chiaro se questa sia una strategia che vuole solo sostenere il governo filo-americano di unità nazionale libica, oppure se è l’inizio di una più ampia operazione che sarà mutuata anche in Siria ed in Iraq. Non si parla di truppe di terra, ma solo di bombardamenti.
Sin dal 2014 lo Stato islamico ha pensato bene di espandere i suoi orizzonti terroristici oltre i territori direttamente controllati nelle province siriane e irachene. Colpire gli stati europei e asiatici, nonché anche quelli africani poco inclini alle politiche espansionistiche del califfo, ha rappresentato un salto di qualità anche organizzativa per Daesh.
La guerra contro la coalizione occidentale, contro i russi non è sufficiente ad alimentare i consensi, le adesioni. Le perdite territoriali degli ultimi tempi hanno, infatti, accentuato il carattere “esterno” della politica terrorista dello Stato islamico: gli attentati in Europa sono una conseguenza di tutto ciò ma sono, soprattutto, una nuova linea proprio politica di intendere la guerra tra Daesh e il resto del mondo.
Spargere il terrore con azioni anche piccole ma creino una vasta eco nell’opinione pubblica, che rendano insicuro un mondo già insicuro per mille altre problematiche di natura sociale.
I bombardamenti su Sirte potranno uccidere centinaia di miliziani dell’Isis ma finiranno con aprire due grandi questioni che si riverseranno a cascata sull’Europa, sugli Stati Uniti d’America e anche su molte altre zone del pianeta: Daesh intensificherà i suoi attentati, avrà buon gioco a fare propaganda contro gli aggressori e invece di saldare una precarissima unità libica, frammenterà ancora di più una società atomizzata e priva di un futuro anche minimamente sicuro.
Le bombe non risolveranno l’enigma Daesh. Chiudere tutti i canali di finanziamento del califfato e gli affari che continua a fare con gli stati arabi amici anche degli Usa, questo sì indebolirebbe il potere di Al Baghdadi e lo cingerebbe di un assedio economico che alla fine costringerebbe molti suoi adepti ad una resa morale e all’abbandono progressivo di una fedeltà che prenderebbe l’aspetto vero e sincero di una cieca, folle obbedienza ad una cultura di morte.
Una cultura di morte diversa e purtroppo uguale a quella di chi, inviando i droni e i caccia sulla Libia, pensa d’essere il buono che va a combattere contro il cattivo. Ma a morire non sarà chi davvero dirige Daesh, ma molti giovani fanatizzati da una ricerca di felicità che, se individuata nell’orrore del califfato, è l’asticella di verifica della miseria umana, morale, politica e sociale di un mondo folle, di un mondo capitalista.

MARCO SFERINI

4 agosto 2016

foto tratta da Pixabay

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